Nell’afflizione, specialmente,  meditiamo la descrizione del servo sofferente:

“Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. ( Isaia 53,3-6)

In questo passo di Scrittura si nota molto bene la differenza tra il giudizio umano e il giudizio divino. La domanda è sempre la stessa: vogliamo o non vogliamo seguire Gesù rinnegando noi stessi e conformandoci al suo modo di pensare e giudicare?

Siamo chiamati a credere che, grazie a Dio, la nostra vita ha un immenso valore, anche se segnata dalla povertà e dalla sofferenza. Le nostre tribolazioni, le nostre mancanze, le nostre debolezze e tutto quello che ci reca dispiacere hanno un senso e sono innestate nel Piano di Salvezza del nostro Dio che ci ama e ci conduce, con sapienza, verso la  felicità eterna. Lasciamoci condurre da Lui. Fidiamoci perché Dio ci ama e nella sua onnipotenza sa trarre il bene anche dal male che noi vediamo in questo mondo.

La conclusione di questa mia riflessione è che è necessario mettere Dio al primo posto per poter vedere la nostra realtà nella Luce della Verità. Solo attraverso Lui possiamo giudicare noi stessi e il nostro prossimo, solo attraverso Lui possiamo giungere alla consapevolezza esaltante del suo Amore Provvidente, che non ci abbandona mai, nonostante tutto. Solo così non saremo più in balia degli eventi passeggeri della vita e potremo fissare lo sguardo della fede in Dio per vedere riflessa in Lui la nostra immagine.