Meditazione di Benedetta: Tristezza secondo Dio e tristezza del mondo


Prima di iniziare questa riflessione è giusto precisare che con il peccato originale entrò nel mondo la morte e la malattia, che sono sorgenti di tristezza e sofferenza, tra cui la più nota è la depressione, che richiede l’aiuto professionale della medicina per essere superata.

 

Dice la Scrittura: “…perchè la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile, mentre la tristezza del mondo produce la morte”. (2 Cor 7,10)

San Paolo ci parla di due tipi di tristezza: una utile che proviene da Dio e una dannosa che proviene dal mondo.

Come distinguere la tristezza utile da quella dannosa:

 

La tristezza secondo Dio, che produce il pentimento, è obbediente, umile, docile e paziente, perché deriva dall’amore di Dio; conserva tutta la dolcezza dell’affabilità e della generosità, mantenendo in se stessa tutti i frutti dello Spirito Santo: «…. amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”» (Gal 5, 22).

 

Al contrario, la tristezza del mondo è aspra, dura, piena di rancore, di sterili affanni e di disperazione. Colui che ne rimane vittima si vedrà distratto e distolto dal pentimento del cuore, poiché questa tristezza mortifica non solo l’efficacia delle preghiere, ma rende pure vani tutti i frutti dello Spirito Santo.

 

Esiste anche una tristezza che tende verso una disperazione rovinosa della propria anima. Essa non permise a Caino di pentirsi dopo l’uccisione del fratello (cf. Gen 4, 9-16), e a Giuda di cercare, dopo il suo tradimento, il rimedio della riparazione: egli si lasciò trascinare dalla sua disperazione fino ad impiccarsi (cf. Mt 27, 5).

 

PRENDIAMO IN CONSIDERAZIONE QUELLA TRISTEZZA CHE NON È SECONDO DIO.

 

È significativo che due salmi presentino come ritornello il versetto: «Perché sei triste, anima mia, perché ti agiti in me?» (Sal 42- 43). La tristezza può rimanere come un’ombra nel nostro cuore, come un brusio che non cessa di tormentarci. Ne cerchiamo le cause che possono essere: le sofferenze ingiustamente patite, le contraddizioni reali alla nostra vita, la constatazione della frustrazione dei nostri desideri, anche quelli più nobili e giusti. Ora, la vita e la realtà certamente ci contraddicono in molti modi, ma non possiamo pensare di vivere in un mondo privo di sofferenza e non possiamo vivere di nostalgie immaginarie o di attese impossibili. Se, invece, ci esercitiamo a portare croce quotidiana seguendo Gesù, potremo aprirci a quella consolazione che viene da Dio e dalla comunione con i fratelli.

 

Credo che la tristezza possa scaturire anche dal nostro rapporto con il tempo.

Da una parte, si idealizza il passato come tempo migliore di quello attuale, oppure si rimugina sulle sofferenze patite, dall’altra parte, si sogna di realizzare in un futuro fantastico, oppure si teme l’avvenire per le incognite che può riservare.

Insomma, in un modo o nell’altro ci si rifugia in un mondo immaginario per fuggire dalla realtà: così facendo, però, non si coglie il presente come l’oggi di Dio, come l’ora irripetibile che ci è data da vivere.

Gesù ci dice: “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.” (Mt 6,34) Vivere secondo il Vangelo giorno per giorno è stato l’impegno di tutti i santi.

 

Occorre inoltre ricordare che per i cristiani la gioia è un comando apostolico: essa non è dunque un sentimento sempre spontaneo, ma uno stato da ricercare. Leggiamo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti.  E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.” (Fil 4,2-7)

 

Il Signore comunica la sua gioia ai suoi amati, che siamo noi. Da parte nostra dovremmo rallegrarci dall’essere “in Cristo”e dal sapere che Cristo vive in noi. (Gal 2,20) Forse la nostra tristezza potrebbe anche essere l’invito a una nostra risposta più generosa all’Amore di Dio. Forse potrebbe essere un sintomo di tiepidezza o di paura di donarci completamente al Signore per mezzo di un abbandono totale alla sua Volontà. Forse il Signore ci sta attirando a Sé e noi gli facciamo resistenza. Chiediamo allo Spirito Santo che ci illumini in merito.

 

La gioia cristiana è «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17), e quindi a essa ci si esercita invocando il dono dello Spirito e disponendosi ad accoglierlo mediante la fede, la speranza e la carità. Lo Spirito santo è «il Consolatore» (cf. Gv 14,16.26; 15,26; 16,7), è colui che ci testimonia che Dio stesso «asciugherà le lacrime dai nostri occhi» (cf Ap 7,17; 21,4), che ci permette di discernere l’invisibile e, dunque, di restare saldi, di svestire l’abito della tristezza per rivestire l’abito della gioia (cf Sal 30,12).

 

Sì, occorre obbedire risolutamente al comando alla gioia ed esercitarsi ad essa vivendo in pienezza il momento presente, seguendo Gesù, così da sperimentare che né il passato né il futuro possono determinarci, ma solo l’oggi di Dio.

 

L’origine della tristezza:

 

Secondo la Chiesa orientale la tristezza è l’ottavo vizio capitale, cioè l’ottavo “pensiero malvagio” collegato alla pigrizia, all’avarizia, all’ira e all’invidia.  E’ lo sguardo rivolto su se stesso, invece la gioia è lo sguardo rivolto su Dio e gli altri. Dice il Salmo: “Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti”. (Sal 34,6)

 

L’uomo, nella sua condizione paradisiaca, non conosceva la tristezza che è entrata nel mondo per mezzo del peccato. In principio era la Gioia, poi venne la tristezza introdotta dal maligno con l’assenso dell’uomo. Evagrio Pontico chiama questo peccato “la bocca del leone” che divora colui che rattrista o “il verme del cuore” che elimina la pace e la gioia interiore. Giovanni Cassiano scrive qual è la sua origine: “A volte la tristezza è conseguenza dell’ira che l’ha preceduta, oppure è generata da un desiderio frustrato o da qualche guadagno mancato quando cioè uno si vede svanire la speranza che nutriva per questa o quella cosa. Altre volte, poi, anche senza alcun motivo apparente che ci spinga a cadere in questo precipizio, ma solo perché pungolati dal nostro astuto Nemico, ci sentiamo improvvisamente oppressi”.

 

La tristezza è stata combattuta dai santi. San Francesco d’Assisi nella sua regola chiede “l’obbedienza” ai suoi frati di non essere tristi: “E si guardino i frati dal mostrarsi tristi (cfr. Mt 6,16) all’esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti ma si mostrino lieti nel Signore (cfr. Fil 4,4) e giocondi e garbatamente amabili (Ff 27)”.

Madre Teresa su questo argomento era molto rigida, se vedeva una suora che andava nelle baraccopoli di Calcutta con il viso triste, non la mandava tra i poveri, ma gli chiedeva di ritornare a pregare e cambiare l’aspetto del viso con il sorriso. Non basta solo servire il Signore, ma bisogna servirlo con gioia.

 

In conclusione ogni tristezza è nociva se non proviene da Dio.

Per queste ragioni ogni tristezza, ad eccezione di quella che viene accolta per penitenza o per l’impegno della perfezione o per il desiderio dei beni futuri, deve essere repressa, perché tutta propria del mondo e perché provocatrice di morte. Perciò è necessario estirparla radicalmente dal nostro cuore al modo stesso di tutti i peccati capitali.

 

Anche nel caso della tristezza ci viene chiesto di combattere la buona battaglia della fede, che ci fa da scudo contro le tentazioni del nemico, chiedendo aiuto al Signore Gesù che dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore; e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico è leggero». (Mt 11,28-30).

 

Per crescere nella fede è necessario dedicarsi alla meditazione della Parola di Dio, chiedendo aiuto allo Spirito Santo perché la renda viva e operante nella nostra anima e nella nostra vita: da parte nostra metteremo il nostro impegno. E’ necessario frequentare i Sacramenti e pregare senza stancarsi Colui che ci ha creati per essere nella gioia piena non solo in questa vita ma anche nella vita futura.

 

Ricordiamo la cosa più importante: anche Gesù ha conosciuto la tristezza di fronte alla prospettiva della morte, è stato «preso da paura e angoscia. Disse: La mia anima è triste fino alla morte”» (Mc 14,33) ed ha vinto quella tristezza mediante un radicale abbandono alla Volontà del Padre (Mc 14,36).

 

Ecco il segreto di una vita gioiosa: impegnarci a seguire Gesù ogni giorno e, con Lui e in Lui, abbandonarci totalmente, con confidenza, fiducia, amore e gratitudine alla Volontà del nostro Padre Celeste che ci ama infinitamente di più di quanto noi possiamo amare noi stessi.

 

 

 

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